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Foibe: missione studenti Toscana, ricordo con mosaico voci

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Foibe: missione studenti Toscana, ricordo con mosaico voci
"Abbiamo cercato di ricostruire la storia di questa complessa frontiera ascoltando storici e archivisti sul dramma delle foibe, i figli degli esuli e gli esuli stessi e condividere questo mosaico di voci e testimonianze con gli insegnanti e con i ragazzi, per far capire loro la complessità della conoscenza della storia". Anche così il vicepresidente della giunta della Regione Toscana, Monica Barni, sintetizza il progetto sul confine orientale italiano che la Regione ha voluto e che dall'11 al 15 febbraio porta 50 studenti e 25 insegnanti di scuole toscane in visite e incontri a Trieste e nel suo territorio.
"In fondo ci siamo comportati come per una notizia, che dovrebbe essere tale se racconta fatti verificati, appurati attraverso anche punti di vista diversi. Ogni fonte racconta una storia, che poi deve essere composta", ha anche spiegato Barni.
Il progetto comprende un 'laboratorio' che ha coinvolto tutti i ragazzi nel tentativo di far loro raccontare "con un approccio giornalistico", si legge nella stessa nota della Regione, "quello che stavano ascoltando e vedendo". "Fin dalla summer school - riferisce ancora Barni - gli insegnanti hanno potuto ascoltare voci diverse, ma sempre voci di persone che hanno studiato queste materie. Siamo poi andati con gli insegnanti e i ragazzi a Roma, al quartiere giuliano dalmata, e adesso ci ritroviamo qui sul confine a Trieste e oggi anche a Fiume, in Croazia". "Un confine ha sempre due lati e le prospettive sono diverse - avverte però Monica Barni - Un confine è una linea che separa, ma l'attraversamento è qualcosa che invece unisce e questo è il messaggio vero di questa esperienza: un confronto diretto con la memoria e la storia affinché nei giovani si formi quello spirito critico che serva loro non solo per leggere il passato ma anche per muoversi nel presente e irrobustire la propria cittadinanza. Lo facciamo con il Treno della memoria ad Auschwitz. Lo facciamo con il Confine orientale".
Ieri a Trieste sono stati visitati luoghi simbolo di quella vicenda, il 'magazzino 18' al porto vecchio e la risiera di San Sabba diventata lager. Raccontare l'esodo non è facile. "Storia complicata per chi non è di queste parti", ammonisce Piero Del Bello, figlio di esuli e direttore dell'Irci, l'Istituto regionale per la cultura istriano-fiumano-dalmata, che ricorda come, dopo l'insurrezione popolare e le violenze del 1943 patite dagli italiani, gli abitanti di Pisino, in Istria, salutarono come liberatori i tedeschi i quali fecero poi migliaia di vittime. "Il dramma patito dagli italiani, per colpe non loro, fu una bestia con tre teste - sottolinea ancora Piero Del Bello - O morivi, o fuggivi, o fuggivi ancora: nei campi profughi o all'estero, la fila ogni mattina per un piatto di minestra, l'odore di vestiti stantii e di capelli non lavati, figli di una storia sbagliata". Livio Dorigo, altro esule istriano incontrato dal gruppo toscano (abbandonò Pola nel 1947) presidente del circolo 'Istria' di Trieste, cresciuto tra Roma, Salerno e Perugia, veterinario al ministero della Sanità, spiegava ai ragazzi toscani: "Se i ricordi non vengono elaborati dalla nostra ragione ma rimangono solo fenomeni emotivi non va bene.
Il ricordo deve sublimarsi in sentimenti di pace, perché quello che noi abbiamo sofferto non venga trasferito e faccia soffrire i nostri figli e i nostri nipoti". Si stima da 250mila a 350 mila il numero degli italiani di Istria e Dalmazia che fuggirono dalla Jugoslavia socialista di Tito. "Dobbiamo guardare ad un'Europa dove poter vivere tutti come popoli fratelli - diceva anche Livio - Il sacrario dell'esodo che è diventato il Magazzino 18, ma anche la foiba di Basovizza, devono ispirarsi a questi sentimenti di pace, in cui il dolore occorre che si trasformi".
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